Early defibrillation

La defibrillazione precoce

La lotta alla Morte Improvvisa Cardiaca (MIC) richiede, come è noto la immediata attivazione della "Catena della Sopravvivenza". Questa sequenza operativa è volta a tentare di sbloccare il circolo vizioso che si instaura, nella maggior parte dei casi per I’insorgenza di una fibrillazione ventricolare (FV): la paralisi cardiaca induce arresto cardiocircolatorio e respiratorio, che danneggia rapidamente gli organi vitali, primi fra i quali i1 cervello e il cuore stesso. Il paziente in FV è ancora recuperabile, purchè si intervenga in tempo utile. Nel giro di pochi minuti la FV tende a progredire in asistolia rendendo vani i tentativi di soccorso. A questo punto, se non si è nel frattempo intervenuti in tempo utile, non è più possibile recuperare il paziente (il paziente in asistolia ha scarsissime possibilià di essere rianimato; dal 2 al 6 % di sopravvivenza). Le manovre di Rianimazione Cardiopolmonare (RCP) servono a mantenere il paziente in FV per un periodo maggiore, garantendo un minimo di flusso perfusorio che consente di guadagnare tempo per la defibrillazione. E’ quindi intuibile l’importanza di ognuno degli anelli della catena della sopravvivenza: il riconoscimento tempestivo e la pronta attivazione della RCP diventano vani se non è poi possibile defibrillare al più presto il paziente. Cosi pure vano sarà l’accorrere dell’equipe dotata di defibrillatore se nel frattempo qualcuno, sul posto, non ha iniziato la RCP, prolungando cosi il periodo in cui il cuore resta in FV (ed è quindi recuperabile) e mantenendo un ridotto ma indispensabile flusso cerebrale. La attivazione della "Catena della Sopravvivenza" richiede una serie di tempestivi e corretti momenti di interpretazione del quadro clinico, di trasmissione dell’allarme, di applicazione delle tecniche di RCP, che sono quindi volti a consentire la possibilià di un rapido intervento defibrillatorio. E’ infatti noto che una percentuale compresa fra l’80 ed il 90 % degli arresti cardiaci primari (cioe non sopravvenuti per condizioni terminali di altre malattie), è dovuta all’insorgere di aritmie ipercinetiche ventricolari (Tachicardia Ventricolare; FV) che possono attualmente essere risolte solo con lo shock elettrico erogato da un defibrillatore. Tale apparecchio, oggi abituale dotazione per il soccorso cardiaco di emergenza, ha una storia relativamente recente. La realizzazione pratica delle intuizioni di Prevost e Battelli (1899) fu effettuata nel 1947 da Beck e coll., applicando elettrodi direttamente al miocardio. Zoll (1956) fu il precursore della defibrillazione esterna, per la quale Lown e coll. dimostrarono, agli inizi degli anni 60, la superiorità della corrente continua rispetto a quella alternata. Nel 1966 i primi defibrillatori a batteria (50 Kg) furono utilizzati in ambulanza a Belfast. Un ulteriore sviluppo della tecnologia permise, all’inizio degli anni 70, la messa a punto di prototipi di defibrillatori automatici esterni e, piu tardi, dei semi-automatici (DAE). I primi studi sulla defibrillazione precoce effettuata da "tecnici di emergenza medica" (EMT) avevano mostrato un netto incremento della sopravvivenza (King County Study 26 % versus 7 Iowa Study 19 % versus 3%). Dalla seconda metà degli anni 80 si sono susseguiti numerosi studi controllati con utilizzazione dei DAE, dopo che nel 1982 la Food and Drug Administration aveva approvato la loro utilizzazione anche da parte di personale non medico. Tali studi hanno confermato sia l’utilità della adozione dei DAE, in quanto essi consentono di anticipare sensibilmente la defibrillazione, sia 1’ampia affidabilità di questi apparecchi. I DAE sono stati sviluppati proprio per essere utilizzati anche da operatori con training limitato, rendendo piu ampio lo spettro di coloro che possono defibrillare il paziente e riducendo pertanto il tempo tra 1’arresto e la defibrillazione. I DAE sinora testati hanno infatti fornito adeguate prestazioni sia in termini di specificità (corretta astensione dalla defibrillazione in presenza di ritmi che non la richiedono) che di sensibilità (corretta indicazione alla scarica defibrillatoria). Le peculiarità dei DAE ne hanno favorito una estesa adozione all’estero nei servizi di soccorso sanitario territoriale, ma anche in varie altre situazioni ambientali e sociali. Ad esempio, una compagnia aerea (Qantas, Australia) ha già dotato di DAE i suoi terminal principali nonchè buona parte dei suoi aerei di linea, provvedendo ad addestrare il personale di bordo con risultati interessanti. Viene calcolato che ogni anno decedano in volo nel mondo per arresto cardiorespiratorio circa 500-1000 persone: un numero superiore a quella dei decessi per incidenti aerei. I DAE risultano in dotazione anche su parte dei velivoli della British Caledonian e per citare un altro esempio nel settore dei trasporti, nelle principali stazioni ferroviarie londinesi. E’ evidente che in situazioni ambientali "confinate" (aerei, navi traghetto ecc...) o in aree ad alta concentrazione di popolazione (stazioni ferroviarie, aree fieristiche e congressuali, stadi ecc..) la possibilià di un soccorso cardiorianimatorio efficace dovrebbe essere attentamente valutata e prevista: in tali piani di intervento il DAE costituisce un prezioso ed importante supporto.

La situazione in Italia

La defibrillazione in Italia è ancora un atto medico. In realtà poi ben poche categorie di medici sono o si sentono in grado di utilizzare un defibrillatore. Nella maggioranza degli ospedali italiani il defibrillatore è raramente presente nei reparti non intensivi, o se c’è, spesso non è agevolmente utilizzabile per motivi tecnici e di scarsa esperienza all’uso. Il sopraggiungere di una squadra dotata di defibrillatore da altre aree ospedaliere è spesso troppo tardivo, soprattutto se nel frattempo non è stata correttamente praticata la RCP e se i percorsi ospedalieri sono lunghi o ricchi di ostacoli (ascensori lenti o occupati, ecc.). Da uno studio effettuato nel 1992 dall’ANMCO (Associazione Medici Cardiologi Ospedalieri), mediante questionari inviati ai responsabili di 563 strutture cardiologiche operanti nei 1092 ospedali italiani, è peraltro emerso che nell’80% degli ospedali censiti non esisteva un piano di intervento in caso di arresto cardiorespiratorio avvenuto al di fuori delle aree intensive. Solo nel 29% dei nosocomi venivano attuate iniziative di didattica cardiorianimatoria per il personale. In alcune realtà italiane pilota (Rimini e Torino) è da tempo in atto una iniziativa di adozione dei DAE nei reparti non intensivi. Corsi di "BLS-D" (dove il D significa defibrillazione precoce con DAE) e successive periodiche sedute di esercitazione, per medici e infermieri di quei reparti, stanno portando ad ottimi risultati in termini di rapidità di intervento e di sopravvivenza. Nel soccorso extraospedaliero la defibrillazione è tuttora effettuata solo là dove vi sia la presenza di un medico sul posto. L’utilizzazione dei DAE da parte di personale non medico e attuata nel soccorso territoriale solo in alcune aree italiane (Pordenone e Perugia), con risultati peraltro assai interessanti. In generale comunque nel nostro paese la defibrillazione è tuttora di fatto attuata con modalità organizzative e temporali tali da garantire un soccorso adeguato in pochi nosocomi e poche aree di emergenza territoriale. Nei dati di sopravvivenza risulta molto evidente lo stridente contrasto con le realtà straniere piu avanzate. La defibrillazione precoce dovrebbe essere anche in Italia, come lo è diventata negli altri Paesi cosidetti civilizzati, lo standard del trattamento dei pazienti con arresto cardiaco sia intra che extraospedaliero. La defibrillazione precoce dovrebbe essere disponibile nelle parti piu isolate degli ospedali dove il tempo di intervento del team preposto sia superiore ad un minuto. Dovrebbe altresì essere disponibile nei centri separati geograficamente da11’ospedale che però seguono pazienti a rischio di patologie cardiache come ad esempio i centri di disintossicazione o in cui siano necessarie terapie con anestetici e sedativi o terapie con elettroshock.

Possibili vantaggi del DAE E’ noto, come già precedentemente sottolineato, che la possibilità di sopravvivenza in caso di arresto cardiaco è legata al pronto riconoscimento della gravità del quadro clinico, alla tempestività di inizio della RCP ed al rapido intervento del defibrilla1ore. La utilizzazione rapida e diffusa dei defibrillatori convenzionali è essenzialmente limitata dalla difficoltà di interpretare presto e bene una traccia elettrocardiografica, soprattutto in condizioni operative extraospedaliere meno favorevoli, sia dal punto di vista tecnico che sotto l’aspetto psicoemozionale. La disponibilità di un apparecchio "intelligente", affidabile e facile da usare, agevola l’intervento defibrillatorio da parte di operatori che non siano (o non si ritengano) adeguatamente esperti in elettracardiografia, tanto che l’utilizzazione del DAE è ormai entrata a far parte del Basic Life Support ("BLS-D"). I DAE sono infatti nati per superare questi ostacoli tecnico-decisionali, essendo dotati di meccanismi che interpretano I’ECG, discriminando i ritmi da defibrillare dagli altri che non richiedono tale trattamento. Essi garantiscono con buona sicurezza, dati i livelli di specificità riscontrati, che se correttamente usati, non erogheranno scariche in situazioni che non lo richiedano. In caso di possibili controversie giudiziarie sull’utilizzazione del DAE da parte di un soccorritore non medico, adeguatamente addestrato ed abilitato, appare comunque evidente l’applicabilita dell’art. 54 del Codice Penale, che prevede la non punibilità di un comportamento antigiuridico se commesso nella ".. necessità di salvare sè od altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona ...". D’altra parte lo stesso D.P.R 27 marzo 1992 (art. 10) autorizza il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, a svolgere "le manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal Medico Responsabile di Centrale". Secondo le Linee Guida RCP dell’Associazione Nazionale dei Medici D’Urgenza (1994) 1’uso del defibrillatore viene considerato intervento di competenza dell’infermiere professionale. E’ ovvio che tale interpretazione della normativa sarebbe possibile solo nel caso di un corretto intervento dell’operatore che deve essere addestrato al riconoscimento dell’arresto cardiaco e al corretto uso del DAE con verifiche periodiche. In sostanza si auspica un ampliamento del mansionario infermieristico che riconosca in modo piu chiaro la possibilita di impiegare tali strumenti, generalmente impiegati in condizioni di uno "stato di necessità" e di "speciali difficoltà" operative. E’ comunque urgente ottenere anche in Italia una normativa piu chiara, che riconosca esplicitamente 1’assenza, in questo tipo di intervento, del "fatto tipico", cioe di un comportamento atto a realizzare un delitto; di ciò si dovrebbe tenere conto anche nei futuri ampliamenti dei mansionari infermieristici. Anche l’art. 2236 del Codice Civile offre possibili interessanti spunti, in tema di rischio di richieste di risarcimento danni, in caso di prestazioni di particolare difficoltà tecnica (fra le quali si possono includere le manovre di soccorso cardiorianimatori). "Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave". La necessità di garantire l’attivazione della "Catena della Sopravvivenza" comporta provvedimenti di tipo sociale (informazione della popolazione, diffusione della conoscenza della RCP), organizzativo (centrali operative, qualità e disponibilità del soccorso ecc..) ed aspetti tecnico normativi (facilitazione alla defibrillazione precoce). Per quanto riguarda la defibrillazione precoce, un prezioso aiuto può essere fornito dal1a adozione di DAE, la cui utilizzazione da parte di personale non medico, adeguatamente addestrato e certificato, dovrà trovare una regolamentazione innovativa cosi come avviene in altri Paesi. La scelta del defibrillatore va fatta comunque con cura, tenendo conto delle caratteristiche degli utilizzatori e soprattutto prediligendo apparecchi identici in tutto il dipartimento di emergenza-urgenza compresa la realtà territoriale, possibilmente in tutti i Servizi della USL. Esso dovrà essere il piu semplice possibile, per evitare 1’impatto, in momenti drammatici, con tastiere complesse e diverse da apparecchio ad appareccbio. La manutenzione e la verifica devono essere programmate con cadenze ravvicinate e regolari così come le esercitazioni devono essere svolte routinariamente. Tutto ciò può aiutare a far si che anche nel nostro Paese la defibrillazione perda l’aureola di atto eroico e difficile da demandare al team di emergenza. La defibrillazione non è una manovra da riservare al personale di emergenza, ma deve essere patrimonio di tutti gli operatori sanitari, medici o non medici. L’infermiere professionale dell’area critica e nella fattispecie, il personale operante nel servizio 118, si trova quotidianamente impegnato sul fronte della lotta alla morte improvvisa nell’attivazione e nel mantenimento della "Catena della Sopravvivenza". In quest’ottica da tempo si tende ad allargare la sfera di competenza del personale infermieristico nell’ambito dell’emergenza-urgenza, prima con 1’attribuzione dei cosidetti "atti medici delegati" e di recente tramite la defibrillazione precoce secondo protocolli interni stabiliti dal Responsabile del Servizio. In alcune realtà si sono attivate procedure di affidamento di "atti medici delegati" al personale infermieristico professionale, che in tal modo viene legittimato a procedure assisteaziali indispensabili per la sopravvivenza del paziente.

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