La costruzione della casa-grotta in vicinanza (o in comunione) avveniva secondo precisi canoni dell'urbanistica del tempo, definiti "in negativo" ossia del togliere (escavazione del calcare tufaceo), anziché del mettere, usato per le costruzioni edilizie in muratura.
La vicinanza si diffuse anche nelle campagne (vedi l'antica masseria Fanelli, Pizziferro, zoppole S. Toma, S. Sergio). Nel Cinque-Seicento ne furono scavate un numero considerevole, in aggiunta a quelle già esistenti, e la loro presenza, oltre a rappresentare una caratteristica delle modalità abitative di tradizione patriarcale, ci illumina sulle condizioni di vita di una società subalterna, prevalentemente contadina, come quella massafrese dei secoli passati.
Praticamente queste abitazioni, limitate per ampiezza, aria e luce, mancanti dei servizi igienici indispensabili ai bisogni di famiglie a volte molto numerose, sostituirono le case-grotte pericolanti delle gravine e dei canali che solcano l'abitato. La zona preferita fu quella denominata "La Serra" (che diventò il "Pittaggio" più popoloso del paese), compresa tra le antiche contrade del Crognolo e Madonna delle Grazie dal versante occidentale e dei Canalicchi dal lato che costeggia la gravina S. Marco.
I suoli per lo scavo delle vicinanze furono lottizzati ed assegnati in particolari circostanze non ancora sufficientemente accertate. Sappiamo, da documenti del secolo XVII, di vendite e di assegnazioni dotali di facciate di vicinanze, di cave o tufare per "lo scavo di nuove grotte". Percorrendo le strade e i vicoli del rione Bambino, una volta centro del Pittaggio La Serra, ne incontreremo una grande quantità di forme ed ampiezze diverse, quasi tutte orientate a sud, certamente per preservarle dai venti di tramontana. Le più grandi, che raggiungono 9 e talvolta 11 abitacoli, sono chiamate "corti" quasi a volerci richiamare il ricordo delle corti romane o di quelle sub-divo circondate da case o da alte recinzione murarie. [...]. Molte vicinanze sono state chiuse o interrate, quelle superstiti sono oggi in completo stato di abbandono. [...]. L'invaso, ricavato nella roccia, ha la profondità di 4-5 mt. Ed ha forma quasi sempre rettangolare. Mostra la scala monolitica con 15-20 gradini alti cm. 25-30, la cisterna per la raccolta delle acque piovane accanto alla quale troviamo una "pila", specie di lavatoio di pietra a forma di vasca rettangolare, la "foggia" per lo scarico delle acque di rifiuto, e, sulle facciate, le varie porte d'ingresso, munite di uno o due gradini. Le abitazioni, per la massima parte, sono composte da 1-2 vani per una superficie di mq. 20-30, con cucina a camino o "alla monacale", e altri accessori: stipi, nicchie, mangiatoie (sovente la famiglia era costretta a coabitare col maiale o con l'asino). Nel soffitto le solite "caviglie" per la sospensione di piani di legno per la conservazione dei formaggi, dei salami e della frutta per l'inverno. Altri aggangi per la sospensione delle culle sono visibili negli spigoli di alcune pareti grottali. Non manca, in alcune case, l'alcova per il letto matrimoniale. Ma questi e altri motivi architettonici si notano più che altro nelle escavazioni più recenti.
Gli abitacoli prendono aria esclusivamente dalla porta d'ingresso, su cui si apre, non sempre, un finestrino. La cucina o il focolare sono ubicati sulla facciata interna, in prossimità della porta, col fumaiolo che sporge all'esterno dell'atrio. L'altezza dei vani non supera i 3 mt., per cui abbondante risulta lo spessore di copertura. Il soffitto è quasi sempre piano. Il pavimento è costituito o dalla nuda roccia, oppure da una specie di "acciottolato" di pietre nostrane o di grossi lapilli di mare. Le pareti venivano imbiancate, anche se a distanza di anni, a latte di calce.
Le vicinanze sono state abitate fino ai primi decenni di questo
secolo. In alcune di esse vi erano locali per la tessitura della
felpa, le tintorie, i mulini, le botteghe artigiane, le rivendite,
i fornelli, le cantine. E' probabile che vi esistesse anche qualche
luogo di culto, ma di essi abbiamo soltanto degli indizi da verificare.
Al di sopra delle vicinanze, poco distante dal cortile, sorgono
le costruzioni in muratura. Casette ,a volte, molto semplici,
ad uno o due piani, con scala interna od esterna per accedere
al piano superiore o al terrazzo, indicate nelle scritture notarili
col termine di case-lamie, ad embrici, a cannizzo.
Spesso nella costruzione delle case veniva adoperato il materiale
di risulta delle vicinanze. In un periodo di evoluzione successiva,
balconi e porte venivano sormontati da archi a tutto sesto. Diverse
case recano sulla facciata l'anno di costruzione.
da "Massafra. La Città e il Territorio"
di E. Jacovelli - Massafra 1981
Premessa.
Uno degli aspetti che lega Massafra al vicino Oriente è costituito dalla "facies" ipogeica degli insediamenti rupestri vicinanziali che ne fanno una città sotterranea anche se non assimilabile a Derinkuyu, a Kaymakli e alle altre città sotterranee della provincia di Nevsehir in Cappadocia. In un recente giudizio possessorio, che verteva tra alcuni privati il Comune di Massafra e la provincia di Taranto, si è disputato sul tema delle vicinanze. In particolare, ha assunto rilevanza ai fini del decidere il regime di proprietà pubblica o privata delle vicinanze del Centro Antico di Massafra. La vexata questio riguardava la tutela del possesso esercitato su un area scoperta che era risultata dall'interramento di un'antica vicinanza, avvenuto negli anni '60, e che era stata chiusa con un cancello dal proprietario-ricorrente giusta autorizzazione ottenuta dal Sindaco dell'epoca.
A distanza di circa trenta anni, il Sindaco di Massafra, su pressione
di un vicino di casa del proprietario-ricorrente, ordinava a quest'ultimo
la rimozione del cancello, avendo dichiarato pubblica l'area di
risulta della vicinanza sulla base della relazione del tecnico
comunale e del parere del tecnico di controparte.
Allorché veniva iniziata l'esecuzione in via amministrativa
dell'ordinanza sindacale, l'interessato insorgeva contro il Comune
promuovendo, tra l'altro, un'azione di manutenzione nel possesso
e un'opposizione all'esecuzione.
La questione, aldilà del suo esito processuale, merita
un'attenta riflessione sia dal punto di vista giuridico che storico.
Tuttavia, in questa sede ci limiteremo ad introdurre il tema riportando
il pensiero degli autori che se ne sono occupati sperando che
altri vogliano, in futuro, affrontare il problema in modo sistematico
e completo.
Origine del regime dominicale delle vicinanze.
L'indagine sull'origine e sul regime dominicale delle vicinanze non può che prendere le mosse da quel complesso fenomeno storico culturale urbanistico e sociale nel corso del quale ebbe origine e si sviluppò la particolare tipologia architettonica delle vicinanze, fenomeno meglio conosciuto dai più col nome di Civiltà Rupestre.Padre Luigi Abatangelo, che è stato il primo ad occuparsi del tema, pur senza produrre una datazione certa, definisce la vicinanza "una vaga e rudimentale imitazione delle antiche case romane con impluvium o cortile interno quadrato e scoperto - detto cavaedium spazio vuoto nell'ambito delle abitazioni - e con allineamento di stanze ai tre lati". Secondo la stesso Autore, le vicinanze sono assimilabili agli "antichi Lares romani (case) e l'atrio o cortile corrispondeva ai così detti vici, donde derivò il vocabolo vicinanza, che, nella disposizione edilizia delle case romane, formano il punto di incontro delle dimore contenute nello stesso ambito".
Il Fonseca, invece, colloca l'origine delle case-grotte in vicinanza o delle vicinanze tout-court intorno al XIV-XV secolo allorquando lungo i versanti della Gravina Madonna della Scala e della Gravina San Marco cominciò a scarseggiare il "suolo edificatorio verticale" (costituito dalle spalle delle gravine, adatte allo scavo di nuovi ambienti rupestri) e la popolazione fu indotta ad occupare l'altopiano costruendo nuovi insediamenti abitativi ipogeici che presero il nome di "vicinanze".
Secondo Espedito Jacovelli, nel XV-XVI secolo, sempre al fine di sostituire le case-grotte pericolanti delle gravine e dei canali che solcano l'abitato, sarebbe stata lottizzata "la contrada Serra, una zona demaniale compresa tra l'attuale piazza Garibaldi, il Santuario della Scala e le due gravine, in cui furono aperte oltre duecento vicinanze per le famiglie sfollate della Gravina S. Marco, il cui materiale di scavo venne utilizzato per la costruzione di case e palazzi di ceti più ricchi".
Il Caprara, invece, ritiene molto più antica l'origine delle vicinanze: esse non sarebbero basso-medievali ma almeno di età tardo-antica.
L'Autore trae argomenti per sostenere tale tesi rifacendosi all'esperienza di Casalrotto "che era Casale ruptum, vale a dire distrutto da tanto tempo che se ne era dimenticato persino il nome quando, nell'XI secolo, riappare nei documenti"; il modello delle vicinanze viene fatto derivare dalle "case monofamiliari ipogeiche con area scoperta centrale dell'Africa settentrionale, importato dai profughi di quelle regioni all'epoca della invasione vandalica (V secolo), ove non addirittura preesistente come tradizione vernacola ipogeica della "casa" italica che apriva le sue stanze esclusivamente sulla corte centrale, che aveva anche la funzione di impluvio per la raccolta delle acque piovane".
Il modulo costruttivo della vicinanza ebbe fortuna e si diffuse anche nelle campagne ed è possibile vederne alcuni esempi nelle fasi rupestri delle masserie Fanelli, Pizziferro, Zoppole S. Toma, S. Sergio, etc.. Mettendo a confronto la masseria ipogeica di Fanelli vecchia col complesso ipogeico all'inizio di via Castiglia, per esempio, si evidenzia come i due impianti ipogeici sono confrontabili essendo costituiti da un'area discoverta centrale cui si accede, mediante una gradinata in discesa, da sud. Sul lato nord, in entrambi i casi, è scavata un'abitazione costituita da quattro vani, contigua a una stalla (per bovini e/o equini) scavata a nord-ovest; vani minori a est e a ovest.
Sul punto, il Caprara osserva che "nel caso della masseria
ipogeica, l'area discoverta corrisponde alla grande corte delle
masserie subdiali e, pertanto, è pertinenza privata della
costruzione circostante. Per analogia, è da supporre che
l'area discoverta della vicinanza urbana dovesse essere considerata
area di proprietà di chi detenesse la proprietà
delle abitazioni circostanti, né più né meno
come oggi l'androne o il cortile di una casa unifamiliare o, nel
caso di abitazioni condominiali, di uso comune per i condomini,
ma non - comunque - suoli pubblici".
La tecnica costruttiva delle vicinanze.
La vicinanza, al pari delle abitazioni rupestri site nelle Gravine, si otteneva con la cosiddetta tecnica costruttiva "in negativo", nel senso che veniva edificata "togliendo" (cioè scavando) anziché "mettendo" (cioè fabbricando) ma con questa differenza: mentre le Gravine offrivano già delle pareti naturali funzionali all'insediamento rupestre, per la vicinanza le pareti verticali dell'area venivano ottenute artificialmente, cioè con lo scavo sul terreno di un vano scoperto, che negli atti notarili del '700 prende il nome di "cava" o "tufara" o "zoccata", di forma solitamente quadrangolare fino alla profondità di 4 o 5 metri, risparmiando nella roccia la sola scala di accesso.
Ognuna delle pareti verticali ottenute o "facciate di zoccata"
(come si legge nei predetti atti notarili del '700, di cui si
dirà oltre), poteva essere utilizzata per lo scavo di una
o più case grotte.
Le fonti documentali storiche pubbliche.
Le fonti storiche, oltre che l'opinione degli Autori che si sono interessati del problema, concordano tutte sul regime di diritto privato delle vicinanze o, quantomeno, portano ad escludere le demanialità delle stesse. Le fonti storiche pubbliche sono costituite da atti inoppugnabili come il Catasto Onciario del 1748-1749, il Censimento della popolazione del 1911 e la relazione tecnica del 3-11-1937 inviata dal Comune di Massafra al Ministero dei Lavori Pubblici. Nel Catasto Onciario del 1749 sono 130 le famiglie che posseggono in piena proprietà case grotte. Su 740 bracciali censiti, "solo 11 non possiedono nulla e solo 42 abitano in case in affitto" di proprietà di privati. Del resto anche la proprietà fondiaria era largamente distribuita fra tutti iceti sociali; "oltre un terzo della proprietà terriera, infatti, era nelle mani dei cittadini laici".
A seguito del Censimento della popolazione del 1911 risultò
che a Massafra vi erano 278 abitazioni site nel sottosuolo, composte
di uno o due vani, e di esse 239 erano abitate.
Nella relazione tecnica del 3-11-1937, inviata da Comune di Massafra
al Ministero dei Lavori Pubblici a corredo del piano di spostamento
e risanamento parziale dell'abitato, le grotte risultano complessivamente
1141, delle quali 503 scavate nel sottosuolo e in gran parte abitate.
Fonti documentali storiche private.
In atti notarili del '700, che ovviamente riguardano Massafra,
ci si imbatte spesso in atti traslativi che hanno per oggetto
vicinanze.
Si tratta il più delle volte di atti di vendita o di costituzione
di dote.
In ordine a quest'ultimo tipo di atti, emerge chiaramente come
la vicinanza, chiamata di volta in volta "zoccata" o
"tufara", apparteneva di solito ad una sola famiglia
che usava che usava concedere in dote ai figli, sposati o in procinto
di sposarsi, una delle facciate ancora da "zoccare"
al fine di ricavarvi la propria abitazione.
Merita di essere citato l'atto del notar Giuseppe Brunetti rogato
il 18 maggio 1726 con cui i coniugi Fabrizio Centola e Rosa Ramundo,
confermando i capitoli precedentemente pattuiti "de futuro
matrimonio contraendo", costituiscono in dote a favore di
Domenica, loro figlia legittima "vergine in capillis"
(promessa sposa di Cataldo di Antonio Petrasanta di Massafra),
fra gli altri beni anche "un luogo dentro la tofara di esso
Fabrizio sito in luogo detto la Serra di Lanti tredici per potervi
zoccare detto Cataldo futuro sposo una casa di lunghezza e larghezza
canne cinque di quadro, franco eccetto dell'annuo canone di grana
due e mezzo, che paga alla detta Baronal Corte".
Vedasi ancora l'atto per notar Francesco Nicola Maglio, rogato
il 4 febbraio 1748, con cui i coniugi Pietro Albanese e Rosa Galiotta
ratificano i capitoli matrimoniali con cui avevano promesso in
dote a Caterina Albanese, vergine in capillis loro figlia legittima
e naturale, "per lo matrimonio de futuro contratto tra detta
Caterina ex una e Michel'Angiolo del quondam Giovanni Frullo di
detta terra ex altera" tra l'altro una parte dell'orto in
luogo detto la Serra, dietro la casa dei dotanti, "acciocché
il detto sposo possa ivi edificare una casa lamia, in qual modo
e maniera che li piacerà, per lo qual fine esso Pietro
promette in dote a detta sua figlia la somma di docati trentacinque
argento per avvalersene il detto sposo per la fabrica di detta
casa"; nonché sempre "in detto luogo della Serra,
e proprie in una zoccata sottomano il detto luogo, come sopra
descritto, una casa grotta, e propriamente la seconda grotta che
si trova a mano destra quando per la scala che vi è si
scende nella zoccata, o sia tufara, franca da ogni peso di censo,
la qual grotta e propria di esso Pietro, siccome anche detto luogo,
come sopra descritto". Da tale atto si deduce che le condizioni
economiche della famiglia Albanese erano più agiate rispetto
a quelle della famiglia Centola se può permettersi di costruire
in dote sia il suolo e la somma di 35 ducati per la costruzione
della casa lamia sia la casa grotta nell'attigua vicinanza.
Con l'atto notar Francesco Nicola Maglio del 16 gennaio 1748,
invece, Michele Cervi vende a favore di Francesco Nicola Lazzaro
"una casa grotta, sita in questa Terra, in luogo detto la
Serra, (...) dietro la Piazza pubblica di questa Terra, senza
cielo, seu aria soprana, per esservi sopra di essa la strada pubblica,
con una foggia per rigetto dell'acqua piovana, sita avanti la
porta di detta casa, con la sua vicinanza, e con una mangiatoia
zoccata nel sasso naturale à canto della porta di detta
casa grotta; come coll'appoggiatura della fabrica della casa delli
Eredi di Lor. Antonio Mangieri, standovi già principata
la volta della lamia, seu appesa corrispondente alla detta vicinanza
di detta casa grotta, confinante la casa di detti eredi di detto
Mangieri, e casa grotta di detto Lazzaro, franca e libera da ogni
peso di cenzo". Di seguito, vi è la vendita, avvenuta
in pari data, con cui Francesco Sportiello vende a Michele Cicala
la "casa grotta con scala, e vicinanza, nella quale vi è,
come un gaifo corrispondente alla gravina di questa terra, sita
in luogo detto il Pizzo, seu dietro la Conigliera, come ancora
con quel poco di luogo, che si trova prima di scendere in detta
grotta, standovi per segno sin dove arriva detto luogo fatta nel
sasso naturale una Croce, confinante detto luogo, e per dove sta
fatta la croce con il pariete dell'orto, ò sia Casalino
delli Eredi di Giovanni Pagliara, franca e libera detta grotta
ed altro da ogni peso di cenzo".
Sempre nello stesso anno 1748, ma il 28 gennaio, la sig.ra Palma
Martucci, ved. Di Leonardo Antonio Gioffredo vende a favore del
Rev.mo Canonico don Giovanni Ramundo "una casa grotta, sita
in questa Terra, in luogo detto la Serra, e proprie sotto la casa
lamia di detto sig. Cananico con la porzione della vicinanza ed
altro quanto attiene, e spetta a detta casa grotta, confinante
una casa grotta d'esso medesimo sig. Canonico, e grotta della
ved. Pasquarosa Roma, franca e libera da ogni peso di cenzo".
Nel protocollo del notar Nicola Capreoli, sotto la data del 18
ottobre 1750, è attestata la vendita a favore della vedova
Perna d'Ambroggio da parte dei coniugi Luca Antonio de Sabato
e Martina Capreoli di "una casa grotta di una canna circa
di cavato ed una facciata di zoccata in faccia alle Levante, dotale
di detta Capreoli, sita e posta in luogo dentro questa Terra,
e proprio in luogo detto la Serra, vicino la casa grotta di Giovanni
Antonio Scaligina dotale di sua moglie verso Levante, la casa
grotta di Saverio Flemma da Tramontana ed altri confini, franca
e libera da ogni peso di censo, e con tutti quelli jus et azioni".
La tesi della presunzione di demanialità.
La tesi della natura demaniale dell'area (risultata dall'interramento)
di una vicinanza non è sostenibile, non solo in base alle
argomentazioni desunte dalle fonti storiche appena esaminate,
ma neppure invocando la presunzione relativa di cui all'art. 22,
comma 3, Legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F secondo cui all'interno
degli abitati le aree adiacenti ad una strada pubblica comunale
appartengono al demanio stradale.
Ai fini dell'applicazione della citata presunzione di demanialità,
si è recentemente statuito che "non è sufficiente
che l'area in questione abbia uno sbocco su una strada o una piazza
comunale, ma occorre che essa si presenti come parte integrante
della funzione viaria della rete stradale e costituisca, perciò,
pertinenza della strada".
Il caso deciso si attaglia alla fattispecie di cui si tratta.
Nel nostro caso, infatti, l'area della vicinanza, subito dopo
l'interramento della stessa, fu chiusa da un cancello ed usata
esclusivamente da un privato talché non si può neppure
ipotizzare la sua apertura al pubblico transito.
Ne consegue che, a maggior ragione, non è ipotizzabile
che tale area sia mai divenuta parte integrante della funzione
viaria della rete stradale e costituisca pertinenza della strada
alla stregua del principio enunciato dalla pronuncia citata.
Pertanto, la tesi della presunzione di demanialità non
è sostenibile.
Apertura al pubblico transito e demanialità.
Non è sostenibile neppure la tesi che desume l'appartenenza
pubblica di una certa area dall'essere la stessa aperta al pubblico
passaggio.
Giacché la norma dell'art. 22, comma 3, della legge 20
marzo 1865 n. 2248 All. F va interpretata in connessione con l'art.
822 del codice civile che ripone sull'appartenenza dl suolo all'Ente
la qualificazione demaniale.
Sotto questo profilo, perché una strada o un'area possa
essere definita pubblica è necessario un titolo costitutivo
del diritto reale pubblico, integrale o parziario; in caso contrario
esse dovranno essere considerate private.
Anche secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, una strada
privata non può diventare pubblica quoad usum solo perché
aperta al pubblico transito, o per il fatto che il proprietario
tolleri il pubblico passaggio.
Ai fini della costituzione del diritto reale pubblico di uso occorre,
in difetto di altro titolo (che può essere un negozio giuridico
a titolo gratuito od oneroso), almeno la prova di una concreta
utilità di carattere collettivo, per il cui soddisfacimento
il passaggio risulti essere stato esercitato durante tutto il
tempo necessario ad usucapire.
Una decisiva argomentazione contraria alla tesi della demanialità
si trae dalla circostanza incontrovertibile che mai, sia in passato
sia nel presente, le aree scoperte delle "vicinanze"
sono state servite da servizio di nettezza urbana.
Anche sotto quest'altro profilo la tesi della demanialità
rimane indimostrata e infondata. Né tale dimostrazione
può essere supplita dalla semplice adiacenza dell'area
alla strada comunale.
Ordinanza di ripristino e azioni possessorie.
Sotto un diverso e ulteriore profilo, si ritiene che il provvedimento
con cui il Sindaco ordina la rimessione in pristino di una strada
ritenuta di uso pubblico, ai sensi degli artt. 378 L. 2248/1865
All. F e 15 d.l. lgt 1-9-1918 n. 1446, si pone su un piano di
parallelismo con le azioni possessorie previste dagli artt. 1168
e 1170 del codice civile.
Ebbene, pur accattando astrattamente di condividere tale impostazione,
non si riesce a pervenire a una diversa soluzione.
Presupposto essenziale di tale tesi, infatti, è che il
Sindaco eserciti il potere repressivo nell'ambito temporale di
un anno dalla alterazione o turbativa dello stato di fatto, altrimenti
sarà da ritenere illegittimamente esercitato il relativo
potere.
Nel caso che ne occupa la modifica dello stato dei luoghi è
avvenuta nel 1963, mentre l'ordinanza sindacale è stata
emessa nel 1988, cioè a distanza di 25 anni.
Ne consegue che il provvedimento sindacale si atteggia quale mero
comportamento materiale giacché, pur rivestendo la forma
di un atto amministrativo, risulta emesso in forza di un potere
che si è estinto nel 1964, cioè allorché
è scaduto l'anno dell'avvenuta alterazione dello stato
dei luoghi.
L'attività esecutiva posta in essere dal Comune in forza
di tale atto inesistente costituisce illecito civile che non può
che essere represso.
Conclusioni.
Le considerazioni di ordine storico sulle origini e sulla tecnica costruttiva delle vicinanze, consentono di stabilire i seguenti punti fermi:
Si è dimostrato inoltre che tra casa grotta e corte vicinanziale sorge un vincolo pertinenziale, al pari di quello che avviene oggi tra case in condominio e cortile o atrio condominiale, cioè essa diventa una parte comune delle case grotte che su di essa affaccino e prendono aria e luce. Si è visto ancora come nel 700 la proprietà fondiaria e urbana, lungi dall'essere concentrata in poche mani, fosse estremamente frazionata e distribuita fra tutti i cittadini; ancora oggi le Gravine urbane di Massafra sono frazionate in microparticelle (autentici fazzoletti di terra) tutte in mano privata. Ebbene nel XVIII secolo, come attestano gli atti notarili esaminati, si scavavano ancora nuove case grotte nell'ambito di vicinanze preesistenti e tali immobili erano nella piena disponibilità di privati e oggetto di frequenti scambi solo tra privati. Da tali premesse discende che, nel caso di interramento di una vicinanza (cioè ove si verifichi il procedimento inverso rispetto allo scavo della medesima vicinanza), non è dubitabile che proprietario dell'area di risulta sia il titolare o i titolari rispettivamente dell'unica o delle diverse case grotte della vicinanza interrata. Si può ragionevolmente concludere che, stabilita la natura privatistica dell'area di risulta della vicinanza, l'ordinanza con cui il Sindaco ha dichiarato pubblica l'area in questione è ingiusta, illegittima ed emessa in carenza di potere in quanto il Comune:
da "Archeogruppo 2", numero unico - giugno
1992
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