Q
uando nel numero precedente abbiamo parlato di metadone, abbiamo dato una serie di informazioni senza però entrare nel merito. Ora vorrei cercare di analizzare la cosa in modo più critico.Negli ultimi tempi abbiamo assistito, fortunatamente, a un riutilizzo del metadone come mezzo di riduzione del danno, cosa che con la legge 162 era stato accantonato fino ad essere completamente inutilizzato, mentre veniva imposta come unica soluzione alla tossicodipendenza, la comunità, se collusa con il potere meglio ancora.Abbiamo visto in quegli anni nascere comunità come funghi dopo una giornata di pioggia.
Negli anni '80 anni era sicuramente redditizio creare comunità: mano d'opera praticamente gratis, dato che il servizio sanitario pagava rette non indifferenti e spesso anche la famiglie contribuivano, e per quanto riguarda le rivendicazioni sindacali, neanche parlarne! Non c'é quindi da stupirsi se molte comunità sono diventate delle imprese economiche e in certi casi delle vere e proprie multinazionali.
Nonostante questi cambiamenti, certamente positivi, una serie di domande continuano a non avere risposte.Io parto dal presupposto che difficilmente un tossicodipendente smetterà di assumere eroina o altro, se non quando avrà maturato la convinzione, tutta personale, che quella pratica non soddisfa più le sue motivazioni iniziali, e l'esperienza ha dimostrato che ciò succede nella maggioranza dei casi.
Rimane, quindi, alquanto incomprensibile l'accanimento che alcuni servizi, anche quando hanno compreso che il mantenimento metadonico permette di ritrovare una certa qualità della vita, utilizzano verso i loro utenti.
L'ultima moda terapeutica é il cosiddetto "feedback": se consumi oppiacei non ti tolgo più il metadone, che era senza dubbio un comportamento criminale, ma ti aumento il dosaggio nell'ipotesi che il farsi di eroina venga a costare così tanto e che l'alta quantità di metadone non faccia più scattare quella molla che porta a utilizzare droghe. Ci sono persone che stanno assumendo 150 ml. di metadone al giorno.
E' vero il metadone ha un'emivita più lunga e permette, quindi, di mantenere tutti quei comportamenti socialmente utili e accettabili, non a caso é stato inventato dai nazisti per aumentare la produttività dei loro prigionieri.
E' anche vero però, che la sindrome astinenziale da metadone é lunghissima e nulla ha a che vedere con il mese, al massimo, di malessere di una carenza da eroina.
Allora, se il metadone é dannoso quanto le altre droghe, cos'è che lo fa preferire?
L'utilizzo di sostitutivi rende più vivibile la condizione di tossicodipendente e limita, nel sociale, l'azione di quella microcriminalità che attraverso piccoli, ma non per questo meno pericolosi reati (furti, scippi, piccolo spaccio) si procura la dose quotidiana.
Ma se il metadone é una droga quanto le altre, perché non dare direttamente quello che le persone utilizzano?
C'é forse qualche convenienza economica che fa preferire le multinazionali farmaceutiche ai contadini del Laos e della Thailandia, super sfruttati anche loro dal grande business della droga. Perché in ultimo gli unici a ricavarne enormi guadagni sono le super organizzazioni criminali, così super che spesso ce le ritroviamo invischiate in politica e in economia (la mafia, e paesi come la Columbia e Panama ce lo hanno insegnato).
E ancora, se il concetto di mantenimento é stato accettato perché continuare, imperterriti a gestire il farmaco in modo punitivo?
La mancata autogestione fa si che chi usufruisce di questo trattamento é comunque impossibilitato a condurre una vita "normale"; impossibile fare un viaggio, impossibile ammalarsi, impossibile farsi per un giorno i cazzi propri!.
Il Metadone è una sostanza di completa sintesi chimica.
Per poter usufruire del farmaco è necessario rivolgersi al Ser.T. (servizio tossicodipendenze) in cui si ha la residenza anagrafica.
Il metadone viene "prescritto" dopo diversi colloqui con gli operatori del Ser.T. (psicologo, medico, operatore di riferimento, assistente sociale), per stabilire lo stato di necessità e la dose di cui si ha bisogno.
Queste modalità sono impiegate per decidere uno "scalare", ovvero quando si prende il metadone a dosi sempre minori fino ad arrivare alla disintossicazione.
Il periodo di durata di uno scalare varia tra i 15-18 giorni; questo perché dopo 21 giorni subentra la dipendenza da metadone.
Le terapie di mantenimento a base del farmaco,cioè dove il metadone viene usato non per la disintossicazone ma per "sostenere" una comprovata dipendenza stabilizzata o cronica, sono "prescritte" sempre dai Ser.T.
L'utilizzo del metadone viene stabilito dalle varie equipes dei Ser.T., quindi ogni servizio decide e valuta in maniera diverso dall'altro.
La nuova normativa prevede la possibilità di farsi prescrivere il metadone dal medico di famiglia, ma attualmente questa possibilità è bloccata da una serie di ostacoli burocratici.
Il metadone deve essere assunto (bevuto) all'interno dei centri di distribuzione situati in alcuni ospedali.
Non è consentita l'autogestione tranne in alcuni casi in cui sia comprovata l'impossibilità di recarsi quotidianamente alla distribuzione.
I
l metadone, assunto per la prima volta da una persona non abituata agli oppiacei, comporta ovviamente il pericolo di overdose.In chi invece è abituato agli oppiacei,anche assunto per lunghi periodi non comporta danni all'organismo.
Questo anche perché, essendo un prodotto farmaceutico per scopi terapeutici, diversamente dall'eroina di strada è chimicamente sicuro.
Gli effetti indesiderati legati al meccanismo di azione del farmaco sono: stitichezza, sudorazione eccessiva, sedazione, riduzione del desiderio e della potenza sessuale.
Tali effetti sono "reversibili", cioè scompaiono con la riduzione del dosaggio o la sospensione del trattamento.
Con l'uso prolungato l'organismo sviluppa, di solito, un'abitudine al farmaco e gli effetti indesiderati si riducono.
In chi è abituato ad assumerlo, non riduce le prestazioni psicofisiche: riflessi, memoria, capacità di ragionare.
Chi assume metadone deve segnalarlo in caso di visite mediche e soprattutto di interventi chirurgici, in modo che se ne possa tenere conto nella prescrizione di altri farmaci o nella anestesia.
È bene tenere in tasca la prescrizione di metadone che è indispensabile a chi soccorre una persona per una emergenza.
dr.ssa Lidia Allegramente,Questa è la domanda che è emersa dagli ultimi dibattiti sulla riduzione del danno. La risposta, se esiste, va ricercata nella soggettività di ogni persona che ricorre al "meta" per ridurre gli effetti negativi del "bucarsi": la continua ricerca dei soldi, il rischio di finire in galera, l'impossibilità di rispettare le più elementari norme igieniche, la difficoltà di sostenere una vita regolare.
A nostro avviso l'utilizzo del metadone dovrebbe seguire due direzioni principali:
Nel primo caso abbiamo semplicemente da superare una crisi che abbraccia l'arco di qualche giorno o al massimo di qualche settimana.
Nella seconda ipotesi la presenza sostitutiva del farmaco permette dei percorsi dove la relazione di aiuto non si limita alla semplice somministrazione; andando a creare o ricreare condizioni concrete per la ricerca di un lavoro, di una casa, di soluzioni alternative alla famiglia se questa risulta essere un ostacolo allo "smettere di farsi".
Il metadone presenta evidenti vantaggi in entrambi i casi presi qui in esame, offrendo la possibilità di allontanarsi sia fisicamente che psicologicamente dal territorio dell'eroina. Permette di recuperare una minima dose di lucidità, di partecipare attivamente a "percorsi terapeutici" convenzionali (comunità residenziali, centri di accoglienza semi residenziali). Oppure non convenzionali, come la partecipazione a gruppidi autoaiuto ed inserimenti lavorativi dove il punto di partenza non sia il "non farsi" ma un obbiettivo da raggiungere durante il "percorso". Queste le tesi principali.>
Nella teoria della riduzione del danno il farmaco assume significati particolari.
Il metadone limita la possibilità di incorrere nei lunghi tentacoli della giustizia, una giustizia che mira soprattutto a colpire i più deboli e indifesi, che lascia marcire in galera persone malate, e rimette in libertà chi la libertà se la può comprare.
Come concretizzare la possibilità di tenersi lontani da questa giustizia?
Prendiamo in esame la terapia di mantenimento metadonico. Si tratta di creare condizioni favorevoli per chi segue un percorso di reinserimento basato sul mantenimento. Il problema è sicuramente più complesso, ma si tratta in fondo di ribaltare quelle che sono le attuali condizioni.
Chi usufruisce del mantenimento è tagliato fuori da quasi tutti gli inserimenti lavorativi, mentre dovrebbe partecipare a qualsiasi progetto come parte attiva eliminando ogni forma di discriminazione, aumentando la complessità della relazione operatore-utente e creando possibilità di gestione comune del problema.
Antonio GarzilloI
ndubbiamente l'uso del metadone nella cura e nel tentativo di stabilizzare la tossicodipendenza occupa uno spazio fondamentale.Il ritorno del suo utilizzo, dopo molti anni in cui l'Italia lo aveva praticamente messo al bando offrendo come unica via per la "guarigione" le comunità, apre una serie di problemi di non facile soluzione e che a parer mio non possono trovare risposte generali ma solo individuali.
Infatti se per molti, che sono in mantenimento del farmaco, la possibilità dell'autogestione permetterebbe di condurre una vita non legata agli orari della distribuzione del metadone, possibilità di fare un viaggio o semplicemente di passare una giornata senza il condizionamento di dovere andare in ospedale per la somministrazione.
È altrettanto vero che essendo oramai molto diffusa la polidipoendenza, ovvero l'uso di eroina insieme a farmaci o alcool, la decisione, di dare il farmaco in autogestione ad un utente da parte del medico,non può che essere una scelta difficile.
Nonostante l'affidabilità di chi è in mantenimento pone comunque dei rischi, che vanno dal cocktail letale all'ampliamento di un mercato "grigio" del farmaco che già esiste.
Altro ostacolo nell'uso del "meta" è la sua alta tossicità per cui lo scalare del dosaggio, per chi è stato in mantenimento, richiede tempi molto lunghi e questo può essere un empasse nel percorso di un tossicodipendente, basta pensare che chi è in cura col metadone non può accedere alle borse lavoro.
Altro rischio, di non poco conto, è che il metadone diventi una specie di pastiglia che risolve tutto dando vita ad atteggiamenti del tipo: "Ti do la tua dose di sciroppo e tutto è a posto", evitando così la costruzione di un percorso "terapeutico" in cui l'obiettivo sia la dismissiome o la stabilizzazione del rapporto con la sostanza.
Inoltre, penso, che il metadone dovrebbe essere un terreno di confronto tra operatore e utente mentre, spesso, vista la lunga demonizzazione del farmaco arrivata al punto di farlo definire da alcuni "droga di stato", porta ad un rapporto tra le parti simile a quello che c'è in piazza tra tossico e spacciatore.
La differenza che se in strada il dare e l'avere è dato dal denaro con il Ser.T. il mezzo di scambio sono una serie di punti terapeutici che spesso hanno il sapore del ricatto e di fronte ai quali il tossicodipendente non può far altro che soggiacere.
Si pensi solo all'uso del controllo delle urine e la possibilità che di fronte ad un riscontro positivo rispetto agli oppiacei possa venire sospesa la somministrazione lasciando una persona ad affrontare una carenza molto più dolorosa di quella provocata dalla mancanza d'eroina.
Certamente l'uso del metadone abbassa di molto la pericolosità sociale di chi fa uso d'eroina perché evita al tossicomane la condizione di procurarsi a tutti i costi il denaro per la dose giornaliera e quindi la possibilità di delinquere.
Resta però aperto il problema che attualmente non esiste la somministrazione del metadone come "pronto soccorso" ma solo come mantenimento o terapia a scalare e quindi la sua funzione di freno alla microcriminalità rispondendo ad un'esigenza del momento è molto aleatoria.
Insomma nell'uso del metadone da un lato bisogna creare delle nuove regole come l'apertura delle borse lavoro a chi è in trattamento metadonico, la creazione di un "pronto soccorso", orari di distribuzione che tengano conto dei problemi legati ad un'utenza che lavora, dall'altro lato evitare qualsiasi generalizzazione sul suo uso lasciando però certi atteggiamenti ricattatori o assumendone di tipo menefreghista ancora più pericolosi.
S
ono un utente del SerT. di via Bertola, da diversi anni.Ormai credo di avere un buon ed aperto rapporto con l'équipe del centro basato sulla sincerità.
In questo periodo mi è capitato di aver bisogno urgentemente di un colloquio con la dottoressa Fergonzi, che segue il mio percorso, in un giorno dove non era previsto che ci si incontrasse.
Solitamente mi reco ugualmente al centro e dopo un po' che aspetto, la mia referente trova i cinque minuti per ascoltarmi.
Questo perché, tramite il telefono, avviso sempre del mio arrivo.
Questa volta però trovo una sorpresa: siamo a giovedì e la dottoressa mi fa sapere che non potrà ricevermi prima del mercoledì successivo.
Impossibile, dico, e riaffermo che si tratta di una questione urgente.
Niente da fare, la dottoressa è irremovibile, perché prima di qualsiasi decisione, che mi riguardi, deve consultarsi con la sua collega: la psicologa Giubbolini.
In breve: la mia urgenza nasceva dal fatto di rivedere il dosaggio di metadone.
Da un anno sono in mantenimento [mantenimento vuole dire che non si sta usando il metadone per superare la fase dell'astinenza ma per cercare di stabilizzare la dipendenza dall'eroina, ndr].
Negli ultimi tempi, o meglio in questi ultimi giorni, avevo ripreso a farmi qualche pera [espressione gergale per dire che ci si sta iniettando dell'eroina, ndr] di troppo.
Quindi la copertura del metadone, rispetto all'astinenza, non funzionava più e volevo che mi venisse alzata la dose giornaliera del farmaco.
Ho cercato di spiegare che non avrei potuto aspettare fino al mercoledì successivo,sarebbero dovuti passare sette giorni, durante i quali avrei sentito la carenza.
Per non stare male l'unica alternativa per me, era quella di andarmi a "fare" [altra espressione gergale per dire che si fa uso di eroina, ndr] in attesa del colloquio con la psicologa.
Dopo, forse, avrei ottenuto il nuovo dosaggio di metadone.
Tutte le mie spiegazioni e i tentativi disperati di far capire alla dottoressa che nel mio caso non aveva nessuna utilità il costringermi ad aspettare, sono caduti nel vuoto. Niente, fermezza totale, senza nessun spiraglio di discussione.
Dovevo aspettare il mercoledì successivo.
Alla fine l'intera équipe è uscita dal Ser.T. lasciandomi lì seduto sulla panca come un "coglione" in preda alla disperazione e all'angoscia, solo e quasi piangente per la rabbia.
Una settimana dopo: ho il colloquio con la psicologa, subito anche quello con la dottoressa e dulcis in fundo il riaggiustamento della terapia metadonica.
Naturalmente i miei sentimenti sono passati attraverso tutta la gamma delle emozioni: rabbia, rassegnazione di fronte a questa pratica del centro che non lascia spazio all'utenza.
Non si possono discutere le varie scelte e non si tiene conto dell'esperienza personale e delle idee di chi si affida al servizio.
Devi accettare quello che ti viene dato o se no, sei fuori. La frase tipica è: "Nessuno ti obbliga a venire qui, sei libero di scegliere" .
Morale della favola, mi sono dovuto "fare" per tutti i giorni che mi separavano da questo colloquio.
Spendendo soldi, che mi sono procurato andando a rubare, rischiando la galera e peggiorando la mia situazione nel complesso.
Voglio precisare che, circa dodici anni fa, quando il metadone era più accessibile, per un appuntamento spostato di tre giorni in galera ci ero finito per davvero.
L'incontro previsto lo ebbi comunque con il dottore, solo che avvenne nel centro clinico delle carceri Le Nuove.
Questa volta mi è andata bene ma poteva anche finire male.
Mi sono dovuto "fare" tutta la settimana ed io non volevo, mi serviva staccare proprio quando l'avevo chiesto e non una settimana dopo.
Per di più ho subito ricatti morali e materiali piuttosto pesanti: la creazione di un "tetto" nella somministrazione del metadone, quando nelle linee guida del Ministero della Sanità sulla somministrazione del farmaco non si fa riferimento a nessun "tetto".
Ho subito una settimana angosciante, carica di ansia e disperazione per la necessità, grazie alla richiesta di un incontro non programmato precedentemente, di dovermi "fare" con tutti i rischi che comporta.
Antonio Garzillo