“LA TOSSICODIPENDENZA NON E’ UNA MALATTIA”

Intervista alla psicologa
Paola Babocci del Sert di Terni

di Maria Elena Di Cicco

L’idea venne a Nyswander e Dole, oltre trent’anni fa, quando cominciarono a concepire l’ipotesi di sostituire un oppioide a lunga emivita alla più rapida eroina. La volontà, per altro ottimizzata, era quella di stabilizzare la neurochimica e, dunque, il comportamento dei tossicodipendenti da eroina. Inutile soffermarsi ora sulla diatriba che tiene banco da anni sulla efficacia o meno dell’intervento metadonico, nel servizio si vuol cercare di capire come questo agisca in termini neurobiochmici. Ci si ricorderà, in quanto trattato nei precedenti articoli, di quanto il “sentiero della ricompensa” di un tossicodipendente possa essere stato alterato dall’eccessivo ed invalidante rilascio di dopamina e quanto lo stesso individuo mostri di funzionare normalmente solo se i suoi recettori mu sono costantemente occupati da un oppioide. La ricerca, dunque, sta chiarendo progressivamente come agisce il metadone. Proprio la presenza costante dell’oppioide si trasforma in elemento stabilizzante e questo processo permette ad un soggetto in dipendenza da eroina di interrompere il circolo vizioso e di allontanarsi dalla droga; si eviterà in questa fase di dissertare su quanto di integrativo deve essere fatto sul piano psicosociale in merito al recupero e quindi si eviterà di pensare che il farmaco possa essere assunto a vita in quanto il deficit nel meccanismo della ricompensa non è stato risolto. Anche se potrebbe darsi che questo, in alcuni tossicodipendenti, potrebbe anche verificarsi. Assunto per bocca, il metadone è ben assorbito a livello circolatorio e, nel cervello, occupa i recettori mu per gli oppioidi nell’arco delle 24 ore. La sua azione stabilizzante pone fine all’alternarsi, per diverse volte al giorno, fra “High” e “Sick”, che è tipico degli eroinomani. L’efficacia del metadone per bocca consente al tossicodipendente di interrompere l’uso endovenoso di droga, riducendo così il rischio di epatiti, di AIDS e di altre malattie infettive derivate dal sangue. Inutile dire che se il soggetto smette di “bucarsi”, con progressività cambia anche il suo comportamento, quantomeno sociale, diventa, come dire, meno bizzarro e magari anche meno ostile. In buona sostanza - stante queste considerazioni - si può dire che il metadone, se somministrato correttamente, è a tutti gli effetti uno strumento terapeutico e non una panacea. Vero è - e chi si interessa del problema lo sa perfettamente - che il metadone da solo non può bastare, anche perché è necessario che l’eroinomane sia motivato a “troncare” e per questo - non approfondire in questo servizio non significa affatto non riconoscerne l’importanza - lo stesso metadone deve essere associato ad un “counseling” adeguato. Rientrano in questo ambito supporti riabilitanti, psicoterapia, coinvolgimento familiare e tanto, ma tanto affetto. Il successo, dunque, richiede un programma ben diretto e l’intervento di uno staff molto professionalizzato, in grado di comprendere che l’eroinismo è una malattia cronica recidivante, e che sappia trattare i pazienti con rispetto e con amore. Il primo criterio di successo è l’abbandono dell’eroina e delle altre sostanze di abuso, così come la riabilitazione sociale. Rinunciare al metadone può non essere realistico per alcuni pazienti, ma non per tutti. Ma certamente non costituisce l’obiettivo primario del trattamento.
non steroidi per le artriti reumatoidi, o la digitale per i disturbi cardiaci. Eppure ci sono giurisdizioni che contengono un limite obbligatorio al mantenimento metadonico. Particolarmente paradossale appare il concetto secondo il quale, se i tossicodipendenti vanno bene con il metadone, devono smettere. È molto più logico il contrario, per cui se un paziente va bene con un farmaco deve continuare a prenderlo.