SEGRETO PROFESSIONALE E DIRITTO

ALL’ANONIMATO NEI SER.T.:

COME E PERCHÉ TUTELARE I PAZIENTI?

Dott. Emanuele Bignamini, Medico, Ser.T. ASL 3 – Torino

Dott.ssa Antonella Bogliano, Medico, Ser.T. ASL 1 – Torino

Dott. Angelo Gigilio, Medico, Ser.T. ASL 4 – Torino

 

PREMESSA

Spesso nel lavoro con i tossicodipendenti ci si trova nella spiacevole situazione di dover tutelare i diritti del singolo in conflitto con i diritti della collettività. Se un assistito deve essere tutelato nel suo rapporto di fiducia con il curante, tuttavia la Società deve essere tutelata nel suo diritto alla sicurezza. In questo caso, istituzioni come quella sanitaria e quella giudiziaria possono trovarsi ad avere compiti divergenti, sbilanciati, verso uno dei soggetti da tutelare.

Qui di seguito ci si propone di discutere il ruolo degli operatori dei Servizi sanitari in ordine alla normativa vigente, e a considerazioni di strategia del trattamento. Di seguito, cercheremo di fornire anche alcune proposte operative, accorgimenti da adottare in queste delicate situazioni.

 

IL SER.T. – OBBLIGHI E TUTELE

Gli operatori del Ser.T., come tutti gli altri operatori della Sanità, sono definiti come Pubblici Ufficiali, incaricati di Pubblico Servizio, e, come tali, vincolati – in primis – al Segreto Professionale ex art. 200 c.p.p. (201 c.p.p. per il segreto d’ufficio), inteso come vincolo nei confronti di ciò che ai sanitari – ed operatori – viene rivelato dai pazienti in ragione della loro professione.

Vincolo ulteriore è posto dal T.U. 309/90 all’art. 120, comma 7, nel quale si afferma che i dipendenti del Ser.T. non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione né davanti all’Autorità Giudiziaria, né davanti ad altra Autorità; si applicano le disposizioni relative all’art. 200 c.p.p. e si estendono le garanzie previste dall’art. 103 c.p.p. (garanzie di libertà per il difensore). Tale articolo dichiara che le ispezioni, le perquisizioni, ed i sequestri di carte e documenti sono consentiti solo in casi limitati e possono essere effettuati solo con una procedura complessa, che prevede, a pena di nullità, che del fatto venga avvisato il Consiglio dell’Ordine Forense, affinché il presidente, o suo delegato, possa assistere all’operazione; all’ispezione, perquisizione, sequestro deve provvedere il Giudice stesso, ovvero il P.M. Nella trasposizione del dettato di tale articolo, pertanto, nei confronti del Ser.T. le perquisizioni, sequestri ed ispezioni sono possibili solo se eseguiti dal Magistrato stesso (o dal P.M.) previa notifica del provvedimento al Direttore Generale dell’A.R.U.S.L. (o di suo delegato) che ha facoltà di assistere a tali operazioni.

Ai sensi dell’art. 195 c.p.p., comma 6, poi, non possono essere esaminate su fatti comunque appresi le persone indicate negli articoli 200 e 201 c.p.p., in relazione alle circostanze previste nei medesime articoli.

Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, ordina, formalmente, che il testimone deponga (ex art. 200 c.p.p., comma 2). Le persone indicate negli articoli 200 e 201 c.p.p. devono consegnare immediatamente all’Autorità Giudiziaria che ne faccia richiesta gli atti, i documenti, …salvo che dichiarino, formalmente, che si tratta di segreto inerente il loro stato o ufficio. L’Autorità Giudiziaria, se ha motivo di dubitare della fondatezza della dichiarazione, e/o ritiene di non potere procedere nell’indagine senza acquisire gli atti, provvede agli opportuni accertamenti. Se la dichiarazione risulta infondata, o si ravvisa l’indispensabilità di tali atti, l’Autorità Giudiziaria ne dispone il sequestro.

Queste premesse, di carattere legislativo generale, fanno presumere che il legislatore abbia inteso tutelare, con vincoli specifici, l’attività degli operatori dei Servizi per le Tossicodipendenze, consentendo loro di potere operare e sviluppare con il tossicodipendente un piano di attività basato sulla riservatezza, e quindi sulla fiducia.

Gli articoli 89-94 del T.U. 309/90 prevedono che ai soggetto tossico-alcol dipendenti, nei cui confronti siano aperti procedimenti penali, possano essere applicate una serie di misure alternative alla detenzione, nel caso in cui abbiano in corso un progetto terapeutico di recupero nell’ambito di strutture autorizzate, o ad esso intendono sottoporsi.

In tali situazioni, all’istanza, da produrre all’Autorità Giudiziaria competente, dovrà essere allegata, pena nullità, idonea certificazione del Ser.T., attestante lo stato di tossico-alcol dipendenza, il tipo di progetto in corso o previsto, e l’idoneità (per l’art. 94) del tipo di programma terapeutico e socio riabilitativo ai fini del recupero del soggetto.

In tali casi si ritiene che la certificazione, in apparente contrasto con la normativa sopra descritta sia prodotta al fine di procurare un vantaggio al soggetto; è comunque buona norma richiedere ed ottenere dallo stesso, o dal suo legale, in caso di impossibilità del soggetto (es. carcerazione in luogo lontano dalla sede del Ser.T.), una formale liberatoria dal segreto professionale rispetto alle certificazioni necessarie.

Diverso il caso relativo alla facoltà del Tribunale di Sorveglianza di acquisire copia della documentazione, ove per documentazione si intenda la cartella del servizio (come spesso specificato nelle richieste).

La problematicità, in tal caso, nasce non tanto dalla legittimità della richiesta – data "ex lege" al Tribunale di Sorveglianza dall’art. 256 c.p.p. – quanto dal fatto che all’interno della stessa possono essere contenute parti non strettamente attinenti il procedimento in corso, nonché dal fatto che al suo interno possono esservi registrati colloqui, o altra documentazione relativi a persone diverse dall’interessato (genitori, mogli, parenti, … ) riportanti fatti e notizie personali o riservate, o possono esservi note, commenti degli operatori, estranei e non pertinenti al procedimento.

Si ricorda che la violazione del segreto professionale è reato perseguibile su querela della persona di cui si è divulgata la notizia; non esiste un concetto di segreto assoluto, bensì relativo all’importanza che il soggetto "divulgato" attribuisce alla notizia-fatto.

E’ quindi buona norma, per tutti gli atti formali del Ser.T., attinenti l’utenza, informare del contenuto delle relazioni sempre gli interessati, in modo che gli stessi in caso di supposta violazione del segreto possano eccepire relativamente all’ipotesi di reato, e al tempo stesso diano consenso informato relativamente a quanto verrà – a loro carico – scritto dall’Autorità Giudiziaria richiedente.

Ulteriore attenzione è da porre al concetto di "cartella", utilizzata nei servizi come il Ser.T., in contrapposizione al concetto di "cartella clinica", quale di comune utilizzo in ambito ospedaliero; la cartella clinica – in quanto tale, è, per definizione, all’atto stesso della sua compilazione, un atto pubblico. Un atto è definito pubblico in quanto atto formale destinato a far fede di un fatto produttivo di effetti giuridici, accertato direttamente – originariamente con le formalità prescritte da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni ed attribuzioni (art. 2699 c.c.). Esso, in base all’art. 2700 c.c., costituisce prova, sino a querela del falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto.

I requisiti dell’atto pubblico sono:

  1. dev’essere redatto da un pubblico ufficiale;
  2. questo dev’essere autorizzato ad attribuire pubblica fede all’atto stesso nel luogo in cui si è formato;
  3. devono essere rispettate le formalità prescritte derivanti dal codice e dalle leggi speciali.

La cartella clinica, quale comunemente intesa, quindi, rappresenta il complesso documentale afferente ad ogni individuo ricoverato in ambito ospedaliero, in cui sono contenuti dati anagrafici, le annotazioni tecniche riguardanti l’esame clinico, l’insieme delle ricerche diagnostiche espletate, la diagnosi formulata, le cure intraprese, e l’evoluzione della malattia nel periodo della degenza.

Lo strumento–cartella in vigore nei Servizi per le Tossicodipendenze, come in altri servizi territoriali, può quindi essere definito cartella clinica ?

Vediamo, intanto, cos’è la cartella nei Ser.T. Si tratta, per lo più – fatte le debite eccezioni (es. introduzione di cartelle cliniche computerizzate) – di un insieme di materiale cartaceo, riunito in un unico contenitore, su cui vengono annotati i vari dati relativi al paziente/utente, nonché la storia del suo rapporto con il servizio, in termini sia oggettivi (dati socio-anamnestici del soggetto e della sua famiglia, esami richiesti ed effettuati e loro esito, terapie prescritte ed effettuate, e loro esito, data dei colloqui fatti e date a cui non si è presentato, interventi terapeutici intrapresi e loro evoluzione – esito), sia più soggettivi, attinenti cioè il colloquio, registrati dall’operatore (contenuto libero dei colloqui con il soggetto ed i suoi familiari, impressioni dell’operatore relativamente all’iter terapeutico, note per i colleghi che condividono il caso, o pro-memoria per i colloqui successivi) in cui ampia può essere la discrezionalità dell’operatore nel riportare i fatti.

Da quanto su esposto, quindi, si evince come lo strumento cartella in vigore nei Ser.T. sia – di fatto – composto di due parti:

  1. una cartella clinica, che riporta dati oggettivi;
  2. una parte di testi liberi, con carattere di ampia soggettività e riservatezza.

Si ricorda, comunque, che requisiti fondamentali della compilazione, al di là della soggettività –sempre possibile – sono la chiarezza e la veridicità; il primo requisito appare opportuno per evitare incertezze di interpretazione del documento ma, in genere, non costituisce illecito penale: la Cassazione (29 Maggio 1961) ha affermato che l’incompletezza e l’ambiguità non equivalgono a falsità, in quanto non attengono alla veridicità del documento.

Il secondo, invece, risponde ad un requisito di legge: il sanitario, infatti, che attesti il falso incorre – a seconda della qualità dell’alterazione – in uno dei seguenti reati:

Le falsità, quindi, che possono essere realizzate su documenti sono di due tipi:

a) falsità materiale: attività di falsificazione che possono essere effettuate sull’atto già terminato (es. cancellature, aggiunte);

b) falsità ideologica: attività di falsificazione che possono essere realizzate nel momento in cui l’atto viene formato.

Le cancellature, le aggiunte in caso di erronea trascrizione debbono, pertanto, essere effettuate in modo tale che sia possibile comprendere quanto precedentemente annotato (es. non utilizzare decoloranti o altri mezzi diretti a variare gli scritti apposti, ma tracciare una riga sull’errore, e trascrivere a fianco o sopra; riportare una nota di correzione accanto allo scritto precedente).

 

ASPETTI PROBLEMATICI

Obiettivo dei Ser.T. nel prendersi cura dei pazienti tossicodipendenti è sviluppare una relazione d’aiuto che si fonda sulla fiducia riposta nei curanti.

Dalla storia personale di molti soggetti emerge la difficoltà a rivolgersi alle strutture di cura e sostegno nel timore che il proprio stato di tossicodipendenza venga resa pubblico; nei fatti il tossicodipendente ha frequenti contatti con le forze dell’ordine, a causa delle condizioni di marginalità sociale in cui vive.

Sviluppare uno spazio di tutela dei diritti, da parte dell’operatore Ser.T., ha la funzione di fare entrare in contatto il paziente con un sistema di regole di funzionamento sociale fondato sulla garanzia della reciprocità e della riservatezza nel trattamento di informazioni riguardanti la propria persona.

La funzione di tutela svolta in questa area diventa cardine nel rapporto che il Servizio instaura con i propri pazienti che si sentono rassicurati a intraprendere e proseguire un percorso di cambiamento terapeutico.

L’intervento del legislatore è stato quello di favorire il più possibile il contatto dei cittadini tossicodipendenti con i Servizi, offrendo la possibilità del trattamento in anonimato e, conseguentemente, dotando gli operatori di strumenti (artt. 120 e 127 DPR 309/90) atti a garantire tale obiettivo anche nei confronti dell’Autorità Giudiziaria.

In realtà, si viene a creare una situazione di conflitto tra il ruolo terapeutico (interessi del paziente) e il ruolo di controllo sociale (interessi della collettività, sicurezza pubblica) su cui la normativa specifica non sempre è dirimente, anzi, si presta ad interpretazioni dubbie e divergenti fra loro.

Da queste brevi considerazioni emerge come sia sempre più urgente individuare un "luogo" atto a favorire il confronto tra i vari attori istituzionali:

- Ser.T., Autorità Giudiziaria, Forze dell’Ordine, per meglio definire i loro ambiti di competenza e creare un sistema di garanzie reciproche al fine di tutelare gli interessi sia del paziente che della collettività.

 

ASPETTI OPERATIVI

Vista la necessità normativa e l’opportunità, in relazione al ruolo terapeutico, di osservare con il massimo scrupolo il segreto professionale e l’anonimato, è necessario prevedere procedure di lavoro e strumenti appositi che tutelino meglio i clienti, oltre che gli operatori.

Considerando quanto disposto dal comma 3 art. 120 DPR 309/90, visto che il singolo può avvalersi del diritto all’anonimato "a richiesta", può essere opportuno documentare tale richiesta nella cartella del soggetto. All’accettazione del paziente, oltre ai consueti documenti, può quindi essere utile acquisire anche una dichiarazione del tipo: "il sottoscritto… - dati anagrafici - …richiede di avvalersi nei rapporti con il Servizio del diritto all’anonimato ai sensi dell’art. 120, comma 3, DPR 309/90".

In carenza di tale esplicitazione, potrebbe essere non così evidente, all’esterno del Servizio, la possibilità del singolo di avvalersi dell’anonimato, intendendosi attivo solo il segreto professionale che, come noto, non copre i dati storici: si potrebbe essere allora nella condizione di dover dare informazioni quali i dati anagrafici e luogo e ora di eventuali appuntamenti, con possibili spiacevoli conseguenze per il cliente.

Viceversa, una esplicita e formale richiesta rende certamente più forte la posizione dell’operatore, che non può più essere considerato "libero" di disporre dei dati storici del paziente.

E’ da considerarsi l’opportunità di informare tutti gli utenti con un apposito avviso in sala d’attesa (tipo "chi intende avvalersi dell’anonimato nei rapporti con questo Servizio ai sensi dell’art. 120 DPR 309/90 – citare – deve farne esplicita richiesta"), in modo che anche i diretti interessati aiutino gli operatori ad espletare la necessaria formalizzazione. Così pure, è opportuno che gli operatori addetti all’accoglienza siano ben informati sullo specifico, e abbiano un promemoria scritto sulle norme da seguire nel caso si presenti al Servizio un Agente di Polizia con la richiesta di informazioni. Tra queste indicazioni dovrebbe figurare anche quella di non opporsi mai all’Agente su un piano personale, ma, ribadendo il fatto di essere vincolato da norme e quindi non personalmente libero di scegliere, di rinviare al Responsabile del Servizio.

Sarebbe opportuno che tali procedure fossero adottate anche dagli Enti Ausiliari, visto che anche gli operatori di Comunità sono tenuti alla stessa osservanza.

Una formale richiesta di avvalersi dell’anonimato del tipo di cui sopra non può essere superata da una richiesta, anche formale (scritta), da parte di Agenti di Polizia. E’ necessario che una eventuale richiesta formale sia avanzata dal Magistrato che indaga, che deve indirizzarla specificatamente al Servizio (e non genericamente ordinare alla Polizia Giudiziaria di svolgere indagini), e che deve dichiarare che il rivolgersi al Servizio è dettato da caratteri di urgenza, di gravità e di mancanza di altre vie di indagine.

A questo punto, se l’Operatore ritiene di acconsentire ad una tale richiesta del Magistrato, formale, esplicita e completa, la cosa diventa, da un punto di vista della correttezza del comportamento, inattaccabile.

Tuttavia, considerazioni di opportunità possono portare ad opporsi ancora. Ciò è legittimo se, a questo punto, l’opposizione viene fatta per scritto, con una dichiarazione del tipo: "il sottoscritto… - dati personali e ruolo organizzativo – in ordine alla richiesta di acquisizione di… - oggetto della richiesta del Pubblico Ministero - …dichiara che, ai sensi dell’art. 256 c.p.p. i dati richiesti sono coperti da segreto professionale in quanto gli utenti di questo Servizio, ai sensi dell’art. 120, comma 3, DPR 309/90, hanno chiesto di beneficiare dell’anonimato e, pertanto, il sottoscritto non può aderire alla richiesta".

Una tale opposizione può essere a sua volta superata, e in modo definitivo, da un ulteriore ordine del Giudice. Tuttavia, oltre a testimoniare che tutto quanto possibile nell’interesse del cliente è stato fatto, non espone, ad alcuna imputazione. E’ assolutamente esclusa, in caso di opposizione, tanto più se scritta e motivata adeguatamente, l’imputazione di favoreggiamento personale, (ogni tanto usata per fare pressione sugli operatori) che, qualora avanzata in modo aggressivo, espone viceversa chi la minaccia.

Si ricorda che il caso avvenuto a Carmagnola ad un medico imputato proprio di favoreggiamento, si è concluso con l’assoluzione in istruttoria, senza quindi neanche la celebrazione del processo, in quanto è stato riconosciuto che il comportamento del medico era teso a rispettare delle Leggi dello Stato e non a favorire un sospetto di reato. Oltre al non luogo a procedere, si ricorda che il medico ebbe espressioni di solidarietà e di apprezzamento da parte dell’Ordine dei Medici, della Regione, della USL, di Colleghi da tutta Italia, e da vari Enti ed Organizzazioni, oltre che da privati cittadini (senza invece alcuna espressione di critica), a testimonianza che la norma sull’anonimato e sulla inviolabilità del rapporto di fiducia curante-curato trova un forte riscontro nell’opinione pubblica.

Una specificazione merita il rapporto tra l’anonimato e le comunicazioni di informazioni a persone vicine al paziente e coinvolte nella terapia.

E’ necessario tenere concettualmente ben distinti i due aspetti: mentre l’anonimato riguarda ogni cessione di informazioni da parte del Servizio a fronte di una chiesta che origina dall’esterno, le informazioni fornite a soggetti aventi parte al processo terapeutico a qualsiasi titolo (parenti, conoscenti, volontari, ecc.) costituiscono una iniziativa concordata preventivamente tra curante e curato. In altri termini, Servizio e utente si accordano su che cosa, a chi e perché informare certe persone dell’andamento del trattamento. Ciò fa parte quindi del contratto terapeutico, di solito con la finalità di rafforzare la cura (e quindi nell’interesse del paziente), e non confligge minimamente con l’anonimato, che continua a tutelare l’utente e a vincolare l’operatore per tutte le situazioni non espressamente previste nel contratto.

Da ciò, ovviamente, discende l’opportunità di prevedere che gli accordi con il paziente, almeno su questioni così delicate e suscettibili di contestazioni, siano fissati in uno scritto, firmato e datato.

Analoghe considerazioni vanno fatte per il passaggio di informazioni a Servizi della Pubblica Amministrazione e ad altri Enti.

Dato per scontato che sia chiaro che informazioni telefoniche a sconosciuti, anche se altamente titolati o appartenenti ad autorevoli Amministrazioni, vanno date con la massima prudenza (meglio piuttosto prendere tempo e verificare), le comunicazioni a Servizi o Enti devono essere rilasciate evidentemente nell’interesse del cliente, e su sua autorizzazione. Ciò vale, quindi, per tutto ciò che riguarda l’attuazione del programma terapeutico concordato con il paziente (importanza dei contratti scritti!) e tutto ciò che attiene alla cura dei suoi interessi (ad esempio, relazioni medico-legali per la patente, dichiarazioni di stato di tossicodipendenza per la cancellazione di sanzioni amministrative, ecc.).

Naturalmente, in questo secondo caso (cura di interessi specifici), è necessario acquisire una richiesta scritta da parte del cliente, dove venga esplicitato il tipo di dichiarazione richiesta e la finalità; la relazione, poi, deve essere indirizzata al richiedente (che poi la girerà a chi ritiene più opportuno), e concludersi con la frase di rito "si rilascia la presente su richiesta e nelle mani dell’interessato, per gli usi di Legge".

E’ certamente sempre opportuno non sostituirsi mai al cliente, facendo direttamente al posto suo istanze o richieste a terzi. Piuttosto, per aiutarlo, può essere opportuno fornirgli assistenza (anche attraverso moduli prestampati) affinché possa più facilmente districarsi tra le pratiche in prima persona.

Quanto sopra non deve sembrare una "burocratizzazione" del rapporto, ma anzi espressione di serietà, di chiarezza, di rispetto per il cliente. Tra l’altro, non dimentichiamo il valore che ha, nella relazione con i nostri pazienti, la concretizzazione di oggetti reali come i contratti, progetti, accordi, ipotesi, speranze. Ma questo è argomento per un’altra riflessione.