Lettera aperta al ministro Diliberto

 

Un uomo di 34 anni gravemente malato, detenuto a Opera, arrestato non per un grave reato ma semplicemente per le conseguenze di "una lite scoppiata tra cittadini in coda a uno sportello dell'anagrafe", ha dovuto attendere due mesi per potere eseguire gl accertamenti diagnostici per l'Hiv e mettere in atto uno sciopero della fame di 4 giorni, rischiando la vita, prima di poter ricevere i risultati delle analisi in base ai quali potrebbe usufruire delle misure alternative. Onorevole ministro, abbiamo ascoltato con interesse e soddisfazione le dichiarazioni da lei rilasciate durante la trasmissione "Pinocchio" e in particolare abbiamo apprezzato l'affermazione secondo la quale anche negli interventi verso la realtà penitenziaria lei intende partire dagli ultimi. Proprio queste parole ci avevano spinto a rinnovarle la richiesta di una sua partecipazione a un convegno, organizzato da noi e dall'associazione Papillon dei detenuti di Rebibbia, dentro quel penitenziario, per il 15 dicembre scorso. Ci pareva importante che le sue dichiarazioni e le sue "promesse di impegno" potessero essere discusse, in libertà, senza la necessità e le rigidità dei riflettori. La scelta di Rebibbia non era casuale: qualche mese fa la Lila organizzò lì una clamorosa protesta per l'assenza di alcuni farmaci essenziali e la condizione disperata in cui versavano alcuni detenuti. Quel giorno da Rebibbia con noi uscirono anche tre malati di Aids. Ecco perché, onorevole ministro, avevamo richiesto la sua presenza a Rebibbia e siamo rimasti, noi ma anche, soprattutto, i detenuti, delusi e sconcertati per l'assenza sua o di un suo rappresentante, del quale ci era stata assicurata la presenza. Oggi sono circa 100 i detenuti malati di Aids, alcune migliaia (circa 4000) i detenuti Hiv sieropositivi e circa un terzo della popolazione carceraria è tossicodipendente. Il primo dicembre, in occasione della giornata mondiale di lotta all'Aids, lei e il ministro Bindi avete annunciato la firma di una convenzione tra i due ministeri per garantire le terapie anti Hiv a chi è detenuto. Ci è parso un atto importante, che giunge dopo oltre 15 mesi di attesa (la prima versione della convenzione risale all'agosto '97), anche se purtroppo è destinato a rimanere principalmente una dichiarazione d'intenti. La convenzione infatti prevede l'acquisto dei farmaci di volta in volta da parte dell'amministrazione penitenziaria dalla Asl, città per città; si pongono così questioni economiche (la limitazione del budget a disposizione della sanità penitenziaria), difficoltà burocratico-amministrative (prevedibilità di tempi lunghi affinché tale situazione sia generalizzata in ogni penitenziario), ma non solo. La complessità delle terapie anti Hiv sono note; un paziente (e tali sono anche i detenuti malati), deve assumere al giorno anche oltre 20 compresse in diversi momenti della giornata e con complessi regimi di orario e di alimentazione, e tali terapie non solo non devono mai essere interrotte ma devono essere sempre assunte a pieno regime, tutte condizioni difficilmente ricreabili attualmente nelle carceri italiane. L'unica vera soluzione è ristabilire l'incompatibilità tra detenzione e condizione di Aids conclamata o comunque situazioni di grave immunodeficienza da Hiv; il progetto di legge 4010 è stato approvato da un'ampia maggioranza da oltre un anno dalla Commissione giustizia della camera e attende solo di essere discusso nell'aula di Montecitorio. Il progetto di legge, nella sua definizione, ha tenuto conto dell'intento della Corte costituzionale che aveva modificato la precedente legge 222/93; infatti, chi una volta scarcerato commette nuovi reati, tornerà in carcere e chi invece può costituire un pericolo per la sicurezza sociale, non potrà usufruire di tale legge. Ovviamente si tratta di attivare anche all'esterno strutture capaci di accogliere e sostenere chi, malato, uscirà dal carcere affinché non sia completamente abbandonato a se stesso. Il tempo, per chi è malato di Aids in carcere, è vita; per questo le chiediamo l'approvazione del ddl 4010 entro il 15 marzo 1999, secondo anniversario della conferenza sulle droghe di Napoli; conferenza dalla quale era uscito tale progetto, rimasto fino ad ora lettera morta. Ma non c'è solo l'Aids in carcere né solo questa proposta di legge era uscita dalla conferenza di Napoli. Infatti, dai lavori di commissione, ripresi nelle osservazioni conclusive dell'allora ministro della giustizia Flick, erano emerse, tra l'altro, le seguenti riflessioni: la riduzione del rischio di incriminazione per le droghe pesanti, riservando le sanzioni penali allo spaccio e non, ad esempio, alla cessione gratuita; l'ampliamento delle misure alternative e, contemporaneamente, la diffusione delle esperienze di custodia attenuata; la certezza della tutela della salute in carcere; la depenalizzazione della coltivazione della cannabis a uso personale; la legalizzazione della cannabis sia pur in via sperimentale. Tutto ciò a oggi è rimasto purtroppo solo parole; il ministro che l'ha preceduto, onorevole Giovanni Maria Flick, non è riuscito a tradurre in disposizioni gli impegni assunti e di cui si era reso garante alla conferenza. Sappiamo che su alcune delle questioni poste il dibattito politico è aperto, ma sappiamo che in altre vi sono ampie convergenze e su queste, proprio in nome di quel partire dagli ultimi che caratterizza la storia di tanti delle nostre associazioni, noi le chiediamo di assumersi pubblicamente impegni precisi con scadenze certe. A metà marzo, quando mancherà anno alla prossima conferenza nazionale sulle droghe, organizzeremo a Roma un incontro pubblico per valutare i risultati concreti dei due anni che ci separano dalla scorsa conferenza; speriamo di poter allora annunciare, con la sua presenza, l'approvazione della legge sull'incompatibilità tra Aids e detenzione e le altre misure da tempo individuate, in modo da evitare di dovere arretrare in una semplice attività di denuncia.

***Lila (Lega Italiana Lotta all'Aids) e Gruppo Abele