sandro ricaldone
webpage PIERO SIMONDO TOPOLOGIE ANNI '60 a cura di Sandro Ricaldone S.R. - In occasione della mostra al
Triangolo Nero (1) abbiamo affrontato il tema dei monotipi. Ora, invece, dovremmo
fare la storia delle "Topologie", di come nascono, dell'evoluzione
che rappresentano rispetto al lavoro precedente. SIMONDO - Quando con Elena siamo approdati
qui a Torino, all'inizio degli anni '60, ho costituito questo gruppo... S-R- - Il CIRA... SIMONDO - Sì, una sigla che stava per
Centro per un Istituto internazionale di Ricerche Artistiche, un'associazione
che doveva nelle mie intenzioni raccogliere e verificare l'eredità del
Laboratorio di Alba, riprndendo in particolare la problematica di una pratica
artistica non professionale ma diffusa. Le "Topologie" nascono in
quest'ambito... S.R. - Qualcuna delle tue strutture, però,
dovrebbe essere antecedente. Se non sbaglio, almeno una è stata esposta a Torre
Pellice nel 1961, prima della fondazione del CIRA che è dell'anno successivo. SIMONDO - Le prime due, in effetti,
risalgono al '60-'61. L'altra era stata esposta ad Alba, sempre nel '61, in una
galleria tenuta da gente che mi aveva conosciuto al tempo del Bauhaus
immaginista. Tutte, comunque, anche quelle realizzate prima, si collocano nella
prospettiva di lavoro del CIRA, fondata su progetti da sviluppare
collettivamente, sempre secondo modalità formali di matrice topologica. S.R. - Era anche il periodo dei tuoi studi
sul labirinto, pubblicati una prima volta sul “Situationist Times” di
Jacqueline de Jong nel '63. SIMONDO - Era un'idea, questa del
labirinto, che allora circolava. Nel '59, quando io ero già uscito
dall'Internazionale Situazionista , Constant aveva progettato un labirinto per
una manifestazione allo Stedelijk Museum di Amsterdam,che poi è in parte
fallita... S.R. - E nel 1963 anche il GRAV aveva
presentato alla Biennale di Parigi un labirinto concepito come spazio di
attivazione dello spettatore, guadagnandosi un'accusa di contraffazione
dall'I.S. ... SIMONDO - Con il CIRA in quegli stessi
anni ci siamo impegnati su questo stesso tema. Ma in un senso abbastanza
diverso, in qualche modo topologico. Per noi forse, più del disorientamento
provocato da un itinerario imprevedibile o dall'indurre gli spettatori ad
atteggiarsi inun dato modo, contava disporre di una struttura complessa, di uno
spazio in cui fosse fruibile sia l'interno che l'esterno. S.R. - Ma in che modo questa struttura
veniva a saldarsi con i vostri progetti? So che ne avevate uno che riguardava
l'alienazione, un tema che nel '68 sarebbe divenuto centrale, SIMONDO - L'alienazione, di per sé stessa
è un percorso. Che la consideri come ascesi mistica o come discesa negl'inferi
dello sfruttamento. Così s'è affacciata la possibilità di rappresentarla
attraverso un labirinto. Ma, con altri progetti, siamo andati più in là sul
piano della traduzione concreta. Si era, ad esempio, avviato un lavoro sui
media, sui quotidiani in specie, in funzione del quale avevamo appunto architettato
un'installazione... S.R. - Che avete realizzato? SIMONDO - No, naturalmente. Allora forse
più di oggi era difficile trovare finanziamenti per cose di questo genere.
Comunque ne ho conservato i disegni. L'idea era che nei giornali le cose importanti
sono scritte fra le righe o su una sorta di retropagina invisibile, dato che la
stampa avviene sui due lati. Per questo ci serviva una struttura che si potesse
percorrere sia dall'esterno che internamente. Avevamo ipotizzato di realizzarla
con una rete metallica e si erano studiati i modi di far cogliere in
trasparenza le componenti non palesi del foglio. S.R. - E' un discorso, questo del
"retro", di ciò che sta sotto od è nascosto, che ritorna - mi sembra
- anche nei "Quadri-manifesto" dove spesso ciò che alla fine appare
in superficie è l'immagine che nella prima fase del procedimento risultava sul
fondo, o nelle "Ipo-piptture", dove il dipinto, coperto da una
stesura neutra, viene fatto affiorare (parzialmente e con voluta casualità)
attraverso l'impiego di solventi. SIMONDO - Fondamentalmente è così. Ma per
tornare alle "Topologie", c'è stato un altro progetto importante,
legato all'idea che il CIRA doveva essere un gruppo che sperimentava sé stesso.
Era una cosa che si voleva sviluppare per la Biennale di Venezia. Sempre
giocando su una struttura che pur delimitando gli spazi fra interno ed esterno
consentisse una visibilità nei due sensi. si pensava di esporre il gruppo come
tale, nelle sue attività quotidiane, lavorare, riposare, discutere ecc. ...
Prevedendo anche - in rapporto all'altro concetto portante, del superamento
della specificità o del professionismo artistico - un ribaltamento della
situazione per cui alla fine fosse il pubblico ad occupare l'interno. S.R. - Dalla ricostruzione emerge la
coerenza fra il lavoro del CIRA e le posizioni che sostenevi all'epoca del
laboratorio. Immaginavo però che il discorso riguardante le
"Topologie" avesse una radice scientifica più marcata. SIMONDO - Intanto direi che il problema
della relazione arte-scienza era l'altro grande tema del Laboratorio. E poi sì,
il riferimento c'era, anche abbastanza preciso. Nel periodo immediatamente
anteriore alla costituzione del CIRA, lavoravo alla mia tesi di laurea, su
Poincaré. Ed ero affascinato dalla sua elaborazione di una geometria della
continuità e del mutevole. Che poi diveniva anche un modo per sfuggire alle
strettoie del funzionalismo, alla rigidità dell'astrattismo geometrico che
all'epoca era in rimonta. S.R. - E le tue costruzioni topologiche in
che rapporto stanno con tutto questo? Si devono considerare come maquettes,
come progetti, od hanno una valenza più specificatamente pittorica? SIMONDO - Se guardi quegli oggetti, ti
rendi conto che sono più che altro delle idee che potrebbero essere sviluppate.
In questo senso sì, possono essere considerate della maquettes: ci sono
mescolate dentro cose diverse: suggestioni abbastanza vaghe di ascendenza
topologica per cui una struttura tridimensionale può essere considerata -
facendo rabbrividire i matematici - come una sezione o una prospettiva di uno
spazio a quattro dimensioni; l'idea di rompere la pelle della pittura, ma in
modo più radicale rispetto alle operazioni alla Fontana, in cui rimane al
solito predominante, destrutturandola anche con l'impiego di componenti (sbarre
di ferro filettato, bulloni ecc.) che fanno parte di un certo brutalismo
meccanico, da ferramenta. S.R. - L'idea di maquette, e anche
certe modalità esecutive, evocano il Constant dell'"Accampamento per gli
zingari" o di "New Babylon". SIMONDO - Direi che nelle
"Topologie" sono prevalenti aspetti oggettuali e pittorici (anche se
forse una certa idea architettonica, di rompere la facciata, si può ritrovare)
mentre i progetti di Constant sono tutti interni all'eredità Bauhaus - magari
come riferimento polemico - ed all'Urbanisme unitaire. Di più, io non
conoscevo, all'epoca, i progetti di "New Babylon". Direi che
l'influenza di Constant l'ho sentita maggiormente sotto il profilo, se
vogliamo, artigianale, nel senso che è stato lui, nel periodo che ha trascorso
ad Alba nel '56, più o meno, ad insegnarmi il gusto della costruzione, l'uso di
materiali come il plexiglas, i fili di ferro, le viti di un certo tipo. S.R. - Ed oggi? SIMONDO - Rivedendo questi lavori con
occhi contemporanei, potrei dire che molte delle implicazioni inespresse delle
"Topologie", che per certi aspetti s'intuivano ma che non ho
esplicitate, la parte più scientifica, matematica, ha trovato nella grafica
computerizzata - di cui mi sono occupato in maniera particolare, sul campo,
negli anni più recenti - una rappresentazione all'epoca impossibile e che ci si
sforzava perciò , in maniera approssimativa, di far avvertire. Ma resta, come
esigenza per il futuro, tutta questa follia: di arrivare all'inespresso, all'immaturo.
Con l'anti-pedagogia, la negazione propria dell'avanguardia che - diceva Jorn -
non è altro che la pedagogia a venire. (intervista raccolta a Torino il 19
dicembre 1993) >>> TORNA ALLA PAGINA
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